C’è chi lo ama e c’è chi non lo sopporta, ma il Carnevale è un periodo che storicamente esiste da secoli e porta colore nel paesaggio grigio delle invernali nebbie padane e non solo.

Come è possibile far finta di niente? Il teatro e l’arte da sempre offrono punti di vista della realtà alternativi e quest’anno… lì per lì… abbiamo immaginato un Arlecchino, personaggio tra i più amati della commedia dell’arte, catapultato in un presente senza carnevale ( idea che tra l’altro mi è costata una multa, ma ne è valsa la pena 🙂

In questa storiella hanno partecipato Stefano Cogno come attore, Alberto Speziari come video maker stagista dall’Università Cattolica di Brescia indirizzo cinema e Martina Tremolada, studentessa al secondo anno del DAMS indirizzo Teatro.
Il costume di Arlecchino proviene dall’inimitabile Falpalà costumi ed è un autentico capolavoro tratto da “Arlecchino servitore di due padroni”  spettacolo in scena al Piccolo Teatro di Milano,

Da un’idea di Gloria Fenaroli, video coordinato da Rudy Fenaroli

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Martina Tremolada ha scritto un originale monologo ispirato allo storytelling qui sopra

“UNA MASCHERA TRA LE MASCHERINE”

Come ogni anno son pronto, sta per arrivare il giorno, quel giorno, dai sapete di cosa to parlando.
Vi è un giorno all’anno, che non ha una data precisa, ma che riesce a tingere il “grigiume” dei mesi più freddi con colori di ogni sorta. I carri festosi sfilano in uno spettacolo dinamico, dolciumi dalle forme strane e dai gusti più iconici che ci adornano con il loro odore, una pioggia di pezzetti di carta colorata cade su grandi e piccini, tutti festanti e mascherati da qualsiasi cosa; ma una regola è forse la più importante: a carnevale ogni scherzo vale.
Si potrebbe quasi dire che io, Arlecchino, sia uno dei re del carnevale, ma soprattutto degli scherzi… anche se quest’anno rischio di perdere la mia corona, gli Italiani hanno messo in atto il migliore degli scherzi: vogliono farmi credere che il carnevale non esista più, che burloni, anzi, sembrano aver istituito un anti carnevale, il grigio dell’inverno ed il suo silenzio sono ancora più opprimenti del solito, le persone non si avvicinano e non scherzano più ma la trovata più geniale: sono le maschere nuove che questi qua si sono inventati, tutte uguali, alcune sembrano becchi di papera più di altre, ciò che colpisce però è che sono tutte di colori tetri, e vengono portate tutti i giorni.
Infondo mi sembrano quasi dei fantasmi oscuri venuti per ricordarmi che posso vivere solo in un giorno, per poi perdere i miei colori, in una società che forse non è più disposta ad accettare la mia allegria.
Vivo ormai con questo presagio di morte da un po’ di tempo, e solo oggi  ho trovato il coraggio quando non nascondendomi davanti a due fidanzati, che indossavano quelle lugubri mascherine, chiesi senza paura se si trattasse di uno scherzo o se si stesse annunciando la morte di Arlecchino.
La ragazza che non indossava colori mi diede una risposta sconcertante: le mascherine non erano il presagio della morte ma lo scudo della vita.
Mi raccontò del virus che nel duemilaventi uccise un sacco di persone e di come fosse facile prenderlo, le mascherine erano la protezione minore, la maggiore prevedeva che non ci fossero assembramenti.
Quindi non era uno scherzo ma un regalo, che gli uomini stavano facendo a me e a se stessi, ed ora era il mio turno, tornai a casa e cominciai a recitare affacciato alla mia finestra, nel mentre un suono strano giunse alle mie orecchie, e affacciandomi al di fuori vidi in torno a me, come su tante piccionaie, bambini in maschera sui loro balconi che tiravano coriandoli e mangiavano dolciumi applaudendomi; un uomo si affacciò a sua volta cominciando a suonare, in poco tempo artisti di ogni sorta si esibirono dai loro balconi. Praticamente avevamo allestito una piccola parata ognuno stando a casa propria.
Finalmente avevo capito tutto, non serviva una grande festa per colorare l’inverno, ma la spontaneità dell’ arte,  la capacità di reinventarsi per vivere i bei momenti anche se a casa, e soprattutto l’amore, che non è solo in un abbraccio o in un bacio, ma bensì nel sacrificio.